Affreschi raffiguranti frutta nella chiesa di Santa Croce di Sermide - Particolari di Meloni
La storia del Melone
Ne hanno fatta di strada, i meloni. Cugini delle zucche, degli zucchini, dei cetrioli e delle angurie, i nostri frutti tondeggianti – della compagnia generosa strisciante e rampicante delle cucurbitacee – non hanno origini americane e colombiane. Dovrebbero provenire dall’Africa o dall’India o, chissà, dalla regione persiana. A noi piace scegliere l’Egitto per dire che la loro prima fortuna fu in riva al Nilo e baciata dal dio Ra, il Sole. Del quale i meloni di ieri e di oggi non potrebbero fare a meno. Tremila anni prima di Cristo i meloni cominciarono a essere esportati sulle sponde orientali del Mediterraneo, ricalcando la stessa propagazione della civiltà. Inevitabile l’approdo a Roma e di conseguenza il su e giù per la penisola italiana. Nella prima età imperiale la Valpadana era coltivatissima e probabilmente già da allora il melone cominciò ad accasarsi, grazie a terreni, clima e cure umane che gli piacquero molto. Così, nell’Oltrepò Mantovano il cucumis melo divenne buonissimo.
Il fatto che sia un cucumis è sacrosanto. Potete mettere una mano sul fuoco: cocomero è. Ma è anche melo, simile a una mela come morfologia, pure soave come il miele. I romani buongustai, alla continua ricerca di materie prime innovative per la loro cucina altisonante rintracciarono nel melone (comunque non ancora portatore del dolce moderno) un soggetto straordinario per le insalate e per le sorprese. Perché il melone è abbondantemente polputo e corposo, alimento e contenitore insieme. Il frutto gode di molta fama anche a livello linguistico, quanto la zucca. E si può dire che caratterizza l’Italia sul versante del lessico. Ad esempio melone è il termine più diffuso nel settentrione, mentre popone è tipicamente toscano con larghe propaggini nel centro e nel sud Italia. Eppure per ironia delle parole e della storia la parola melone fu adottata da Columella, autore del De Rustica, nel I secolo dopo Cristo. E Columella era d’origini spagnole. Mentre popone risalta nella Naturalis Historia di Plinio il Vecchio, d’origini comasche ma morto a Stabia.
Affreschi raffiguranti frutta nella chiesa di Santa Croce di Sermide
Lo mangiavano i faraoni, lo gustavano gli imperatori. Mai e poi mai per il melone c’è stata una stagione di crisi. Beh, forse nell’Alto Medioevo, quando la foresta in Italia si riprese la pianura e l’incolto ebbe il sopravvento anche sulle tipicità a le abitudini mangerecce antiche. In ogni caso chi aveva o mangiava meloni, da che storia è storia, era persona eminente, colta, che amava il buon vivere, tanto da indurre il fisco nei secoli a tassare meloni e divoratori di meloni, frutti di gran lusso. Il cristianesimo – che moralizzò gran parte dei segni del paganesimo – portò nelle chiese anche i meloni. Eccoli, fastosi e attraenti, nelle ghirlande e nei festoni dipinti negli archi, in compagnia dei melograni, dell’uva, delle zucche, degli agrumi. Simboli d’abbondanza e fecondità: sintomi del creato. Chissà perché di meloni affrescati ce ne sono nella chiesa di Santa Croce di Sermide, a poca distanza dall’Azienda Agricola Roversella. Ritratti nel Cinquecento. Certamente dal vivo.
Questa è terra melonifera.
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